A cura degli Avv. Alberto Crivelli e Ilaria Gargiulo, AMTF Avvocati

La ristorazione italiana non è solo arte culinaria. È identità, creatività, esperienza e, sempre più spesso, impresa e così i ristoratori non sono più soltanto chef o imprenditori tradizionali: sono custodi di marchi, creatori di format replicabili, protagonisti di operazioni societarie e oggetto d’interesse di investitori.
Ma come si costruisce e si valorizza davvero un brand della ristorazione italiana fino a renderla una impresa interessante per potenziali investitori, partner o acquirenti? In questo articolo vogliamo affrontare il tema da una doppia prospettiva, quella della tutela legale degli asset immateriali e quella della strutturazione societaria e della crescita per linee interne o esterne che, quando tra loro correttamente connesse, generano operazioni di grande valore.

Crescere con metodo: strutturare l’impresa
Molti ristoratori iniziano come artigiani della cucina e si ritrovano, spesso senza accorgersene, a gestire imprese complesse. Un locale che funziona può generare l’interesse di investitori, richiedere nuove aperture o spin-off, oppure strutturarsi in una rete in franchising. Tutto ciò richiede visione e strumenti societari adeguati.

Forma giuridica e governance. Una società a responsabilità limitata è quasi sempre preferibile per chi vuole crescere: consente di separare il patrimonio personale, attrarre capitali e regolamentare meglio i rapporti tra soci. Se l’obiettivo è una crescita per linee esterne, una holding può diventare lo strumento ideale per centralizzare controllo e proprietà intellettuale.
Patti parasociali e investitori. L’ingresso di un socio finanziario (fondo, investitore privato, family office) è un passaggio delicato. Serve una due diligence accurata e una contrattualistica che regolamenti governance, distribuzione dei profitti, exit strategy e diritti di veto. I patti parasociali possono prevenire conflitti e garantire continuità.


Franchising e replicabilità. Chi vuole replicare il proprio modello tramite affiliazioni deve predisporre un contratto di franchising che definisca chiaramente gli obblighi dell’affiliato, le modalità di controllo, la trasmissione del know-how e i diritti sul marchio. La normativa in materia richiede un vero “manuale operativo” e informazioni precontrattuali dettagliate.
Prepararsi all’exit. Anche se non si ha in programma di vendere, è utile pensare fin da subito come se lo si dovesse fare. Questo approccio aiuta a costruire valore reale e a strutturare l’impresa in modo solido e trasparente.
Due diligence. Chi compra – o investe – guarda a tre cose: numeri, organizzazione societaria e presenza di marchio (e proprietà intellettuale) che permettano la scalabilità del progetto sfruttando il valore già creato e consolidato. Un’azienda della ristorazione che ha marchi registrati, ricavi documentabili, struttura legale ordinata e compliance contrattuale diventa quindi più attraente. Anche solo per un partner commerciale cui concedere il marchio in licenza.

La ristorazione, quando si trasforma in impresa, richiede la stessa cura che si dedica alla creazione di un piatto d’autore: visione strategica, equilibrio e rispetto delle regole. Sul piano giuridico, proteggere i propri asset immateriali e strutturare l’impresa con strumenti adeguati di governance e contrattualistica significa non solo difendere ciò che è stato costruito, ma anche aumentare il valore percepito dal mercato e dagli investitori. Un ristorante che tutela la propria identità, disciplina i rapporti con collaboratori, fornitori e affiliati e si prepara in anticipo alle sfide di eventuali partnership o operazioni straordinarie è un’impresa pronta a crescere in modo sostenibile. In questo senso, il diritto diventa un alleato strategico, capace di trasformare un’idea vincente in un progetto solido e scalabile.

L’identità conta: identificare e proteggere ciò che rende unico il tuo locale
In un mercato saturo, dove le mode gastronomiche si rincorrono, ciò che distingue un ristorante di successo è la capacità di creare un’identità riconoscibile. Quell’identità – fatta di nome, logo, interior design, format di servizio, ricette e storytelling – è un vero e proprio patrimonio, che va tutelato sin dai primi passi. Ecco gli step imprescindibili per iniziare a creare valore sin dal principio e proteggersi da eventuali contraffattori.

Il marchio. Scegliere un nome originale, distintivo e poi registrare quel nome come marchio (preferibilmente sia in forma denominativa che figurativa) è il primo passo. È importante farlo a livello nazionale e, se si prevede un’espansione o si lavora con il turismo, anche a livello europeo e/o nei principali paesi di possibile espansione (diretta o tramite strumenti come il contratto di licenza o franchising).
Il format. Non è possibile tutelare un “format” come concetto astratto, ma è possibile proteggere i suoi elementi distintivi: arredi (design), layout (se originale), menù (diritti d’autore), manuali operativi (se riservati), divise del personale, profumo del locale ecc. In questo senso, oltre alle registrazioni, procedure interne di protezione dei singoli asset e degli stessi come format, contratti di confidenzialità e patti di non concorrenza con dipendenti e collaboratori sono strumenti da non sottovalutare e prevedere sin dal principio.
La comunicazione. Una buona reputazione passa anche da una comunicazione efficace. Sempre più ristoranti si affidano a influencer, social media manager e content creator. Ma, come per ogni strumento, serve consapevolezza e attenzione per evitare casi di pubblicità occulta o ingannevole e quindi una comunicazione che, invece di costruire una buona immagine, va a ledere la reputazione dell’impresa. In tal senso, anche per collaborazioni di valore – in termini economici – ridotto, è preferibile avere contratti anche semplici (perché non diventino un ostacolo all’attività di impresa) e soprattutto chiari (anche sul rispetto delle norme sulla pubblicità e trasparenza nella comunicazione digitale e tutto ciò che attiene hashtag #adv, indicazioni AGCOM e Codice di Autodisciplina Pubblicitaria).

Fonte: Ristorazione Italiana Magazine – pg. 68-70