Il punto di vista legale. Co-branding, tra strategie di marketing e insidie commerciali
Si sente sempre più spesso parlare di co-branding e capsule collection tra brand più o meno importanti, quali strategie di marketing molto vantaggiose per le società coinvolte nella collaborazione. In particolare, tra le finalità perseguite mediante tali forme di collaborazione vi sono: aumenti delle vendite, diminuzione dei costi di produzione e promozione dei prodotti e delle spese di marketing correlate o, più in generale, il rilancio di brand in declino.
Ma di cosa si tratta nello specifico?
Il co-branding può essere definito come una forma specifica di co-marketing, nella quale ricorre la cooperazione tra due o più marchi, entrambi utilizzati per la commercializzazione dello stesso prodotto, realizzato congiuntamente in un singolo contesto di marketing, come il product placement, la pubblicità e la distribuzione.
Spesso l’idea principale della strategia di co-branding è quella di accoppiare due o più marchi al fine di trasferire le valutazioni positive correlate ai marchi partner a quelli, magari, appena nati e da lanciare sul mercato. In altre parole, non appena un prodotto a marchio congiunto appare sul mercato, i consumatori giudicheranno il nuovo prodotto sulla base della reputazione di entrambi i marchi coinvolti e che compaiono nel prodotto stesso.
Di che tipo possono essere i co-branding?
Si parla di:
- product-based co-branding quando, ad esempio, due o più prodotti vengono venduti in un’unica confezione oppure vengono combinati insieme per creare un prodotto totalmente nuovo;
- communication-based co-branding quando, invece, due o più marchi sono accostati a livello pubblicitario oppure collaborano a livello promozionale al fine di incrementare le vendite;
- distribution-based co-branding quando i partner sfruttano un’unica rete di distribuzione per ottimizzare spazi e profitti.
Quali sono i rischi commerciali?
I rischi, così come i vantaggi, possono essere molteplici. Ad esempio, nel lungo periodo, il partner commerciale potrebbe rivelarsi un competitor attraverso comportamenti opportunistici che sfruttano l’alleanza a proprio esclusivo vantaggio. Oppure uno dei partner potrebbe oscurare l’immagine dell’altro, creando confusione nella mente del consumatore parlandosi, in questo caso, di ‘effetto alone’.
E dal punto di vista legale?
Da un punto di vista giuridico, il contratto di co-branding è un contratto atipico, a prestazioni reciproche, caratterizzato da un’alea di rischio significativa, in quanto comporta, necessariamente, il coinvolgimento delle componenti più sensibili dell’attività di impresa quali ad es. la reputazione, il know-how, i segni distintivi ed altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di entrambe le parti interessate. Molta della proprietà sensibile delle società che operano in co-branding dovrà, infatti, essere messa a disposizione dell’altra parte, in modo tale da poter realizzare insieme la finalità produttiva e promozionale perseguita.
E’, pertanto, fondamentale che negli accordi di co-branding si stabilisca, fin da subito, quali siano i reciproci impegni di ciascuna parte (ad es. attività di design, produzione, commercializzazione ecc.) e quali siano le misure finalizzate a salvaguardare il patrimonio immateriale e l’immagine commerciale dei soggetti coinvolti.
Nondimeno, soprattutto nel caso di co-branding tra soggetti molto quotati sul mercato, è sempre preferibile disciplinare in maniera precisa e puntuale la titolarità del marchio generato (eventualmente anche prevedendo una contitolarità al 50%) inserendo, se del caso, nel contratto disciplinante i rapporti tra le parti, delle opzioni di c.d. put&call o della c.d. roulette russa per consentire l’acquisto da una parte della percentuale detenuta dall’altra. In tali circostanze è importante, altresì, prevedere un diritto di prelazione in favore delle parti, onde evitare che la titolarità del marchio (o una percentuale della stessa) possa essere ceduta a terzi che non siano stati coinvolti nella nascita del nuovo prodotto e/o del nuovo brand.
a cura dell’Avvocato Alberto Crivelli, founding partner, e dell’avvocato Martina Famlonga di Amtf Avvocati